Dedicato alla memoria di Yoshinobu Nishizaki


La Seconda Serie. Produzione e Realizzazione.













Al momento della realizzazione della prima serie di Yamato, la sede della Office Academy nel 1974 era situata al dipartimento Kudanshita di Tokyo, tuttavia questa era esclusivamente legata all'ufficio per la pianificazione e le vendite, mentre il lavoro di animazione vero e proprio era prodotto in un condominio, nel reparto a Sakuradai. Quest’ubicazione fu svincolata nella primavera del 1975 e ripresa da Kazuhiko Udagawa per la sua Anime Pro poco dopo la fine della produzione del lungometraggio riassuntivo di Yamato.
Da allora l’Academy non ebbe più un proprio impianto di produzione e realizzazione, ma si era limitata solamente a curare la distribuzione dei propri prodotti (Yamato, Toriton, etc).
Quando nel 1977 arrivò il momento di ripartire per realizzare i nuovi lavori, la nuova casa di produzione di Yamato divennero gli studi Toei di Nerima. Questi continuarono a esserlo per tutta l’estate del 1978 durante la lavorazione di Arrivederci Yamato.
Quando nella primavera dello stesso anno prese il via la realizzazione della Serie 2, l’Academy ebbe bisogno di svincolarsi dall’ingombrante presenza della Toei e cercarsi una nuova sede.
Nishizaki aveva bisogno anche di ingaggiare un personale completamente nuovo, almeno per la fase di pre-produzione della nuova sere, perché gli animatori che lavoravano al film cinematografico sarebbero stati legati al film soltanto fino alla sua uscita nelle sale, ad Agosto.
Le fasi della pre-produzione di Yamato 2 iniziano così, (in attesa di trovare una nuova sede), in un ufficio preso in prestito alla Mushi Pro di Osamu Tezuka, (con cui Nishizaki aveva lavorato prima di fondare la Office Academy)
Il trasloco nella nuova sede sarebbe avvenuto il 1 settembre 1978, quando cioè Arrivederci Yamato era in proiezione nelle sale da quasi un mese.
La nuova struttura era un edificio di quattro piani. Il primo piano era già occupato da una società che affittava fotocopiatrici, ma l' Academy possedeva tutto il resto.
Il secondo piano dello stabile ospitava gli uffici del produttore e la sede dello Yamato fan club.
Al quarto piano vi erano la sala conferenze, il magazzino dei rodovetri e l’ufficio di Yoshinobu Nishizaki.
Ma era al terzo piano dello stabile che si svolgeva effettivamente il lavoro.
Il piano era stato diviso in cinque zone di produzione, dove i progettisti lavoravano gomito a gomito per realizzare nuovi mecha, creare le scene, dipingere i cel, montare i filmati.

Nishizaki e Matsumoto in una foto del 1978
Come per la Serie 1, l'animazione per il secondo lavoro fu condivisa a rotazione da quattro gruppi, alcuni di essi erano fuori sede, ma altri si stabilirono presso la nuova sede dell'Academy.
Uno per uno, gli studi di Takeshi Shirato, Kenzo Koizumi, Kazuhiko Udagawa e Osamu Hirouka vennero a formare poco alla volta il team della Serie 2.
Yoshikazu Yasuhiko che aveva creato lo storyboard per la Serie 1 e che si era appena occupato delle scene chiave per “Arrivederci” fu richiamato per realizzare lo storyboard per 13 episodi della Serie 2.
Ultimo ma non meno importante, Hiroshi Miyagawa era tornato a scrivere e dirigere la musica con Yu Aku come paroliere.
Leiji Matsumoto fu coinvolto come sempre nella produzione e la sua influenza generale questa volta si fece più marcata.
Le sue idee di “meccanica” sui disegni divennero abbastanza forti da consentirgli di creare un proprio linguaggio visivo: una firma.
Matsumoto non voleva il ripeteresi degli errori commessi nella Serie 1 e questa volta, in questa fase della vita di Yamato, era deciso a non cedere alle pressioni e ad imporre la propria volontà e le proprie idee. (Questo stile unico nel suo genere, lo avrebbe poi riutilizzato per le successive produzioni che la Toei avrebbe sfornato negli anni successivi e che non avrebbero avuto più niente a che fare né con l’Academy né con Yamato).
Per lo stesso motivo, grazie cioè a questa nuova veste, anche i progetti dello Studio Nue di Miyatake dovevano passare prima attraverso il "filtro di Matsumoto" prima di prendere la forma definitiva e essere approvati.
Il lavoro di collaborazione tra Studio Nue e Matsumoto determinarono tra l’altro la scala e le dimensioni effettive dell’Impero della Cometa. Tutto venne confrontato (armi, astronavi etc) con le dimensioni della Yamato che già dall’inizio della Serie 1 avevano subito qualche piccola variazione.
All'inizio, a giudicare dalle dimensioni del ponte, la lunghezza dell’astronave doveva superare i 300 metri. Matsumoto e Ishiguro erano d'accordo su questo, ma quando furono pubblicati i materiali promozionali, fu deciso che la lunghezza avrebbe rispettato le dimensioni della nave originale che era di 283 metri, quindi la lunghezza rimase quella ufficiale.(Stesso nome, stesse dimensioni).
Lo stesso Matsumoto avrebbe detto più tardi che lo stile mecha design della seconda serie e di “Arrivederci Yamato” era uno stile a parte, né suo né dello Studio Nue, ma una simbiosi tra i due, anzi disse anche che quello fu il risultato della loro collaborazione.







L'Impero Della Cometa ispirato dai romanzi di James Blish







Blish è un altro degli autori dimenticati nel panorama editoriale italiano, una mancanza non da poco. Fece comunque in tempo a lasciare un segno distintivo nella fantascienza, stiamo parlando di un autore che si portò a casa un premio Hugo e una manciata di nomination tra Hugo e Nebula, per non parlare dei due Hugo postumi del 2004 (i cosiddetti retro-Hugo, dati  a lavori del passato).
Fu amico, tra gli altri, dei colleghi Isaac Asimov e Philip K. Dick.
 Blish esordì giovanissimo nel 1940, sulle pagine di “Super Science Stories” La prima fase della sua carriera è da considerare episodica, almeno fino agli anni ’50. Una dozzina o poco più di racconti, tutti piazzati nelle riviste del settore, erano sufficienti per considerarlo poco più di un autore promettente.
Con gli anni ’50 Blish fa un passo avanti, in più direzioni. Tra il 1953 e il 1959 pone le basi del suo ciclo de “Le città volanti” con quattro racconti
1) Ed essi avranno le stelle (They Shall Have Stars, 1957; pubblicato anche con il titolo Year 2018!)
2) Una vita per le stelle (A Life for the Stars, 1962)
3) Il ritorno dall'infinito (Earthman Come Home, 1955), G. P. Putnam's Sons, New York,
4) Il trionfo del tempo (A Clash of Cymbals; negli USA pubblicato come The Triumph of Time, 1959)

Il romanzo “Una vita per le stelle” (“A Life for the Stars”) di James Blish venne pubblicato per la prima volta nel 1962. È il secondo romanzo della quadrilogia “Le città volanti”, seguendo “Ed essi avranno le stelle” nella cronologia interna. In Italia è stato pubblicato da Mondadori all’interno del volume “Le città volanti” nella collana “Varia Fantascienza” e dall’Editrice Nord, all’interno del volume “Le città volanti” nel n. 174 della collana “Cosmo Oro”.
Cronologicamente, “Una vita per le stelle” è il secondo romanzo del ciclo “Le città volanti” ma è l’ultimo scritto da James Blish. È ambientato alcuni secoli dopo il primo romanzo, “Ed essi avranno le stelle”. Lo sviluppo della tecnologia antigravitazionale ha portato molte città ad abbandonare la Terra, ormai in perenne depressione economica e sottoposta ad un regime politico repressivo, in cerca di fortuna.
 Le città volanti, viaggiano tra le stelle commerciando tra loro e con i pianeti colonizzati ma solo alcune riescono realmente ad arricchirsi mentre la maggior parte di esse rimangono piuttosto povere e non necessariamente hanno un governo più democratico di quello terrestre.
Per saperne di più su James Blish qui



L’ispirazione iniziale per la progettazione dell’Impero della Cometa Bianca era venuta a Matsumoto leggendo il romanzo dello scrittore americano James Blish; “Le Città in Volo” che caratterizza la città volante di New York.
Per conferire alla città volante di Matsumoto un aspetto nuovo e diverso dal libro, occorreva innanzitutto conferirle dimensioni e proprietà per precise. L'impero della Cometa fu concepita da Matsumoto come una fortezza mobile protetta da un vortice di plasma bianco, quando si muoveva doveva avere la forma e le caratteristiche tipiche di una grande cometa luminosa.
La conseguenza della peculiarità dello schermo al plasma, doveva conferirle, la luminosità tipica della cometa, agire come un dispositivo di protezione, ed essere adibito come un mezzo in grado di assorbire la materia spaziale per il rifornimento e la continuità del carburante. La stessa fortezza fu ideata come una grande città costruita su una montagna artificiale insieme ad un guscio emisferico inferiore che assomigliava vagamente alla superficie della Luna. 
Il diametro per la città fu stabilito in 15 chilometri, mentre l'altezza complessiva in 10.
Ma come imprimere alla roccaforte le sembianze e i tratti simili ad una vera cometa?
Ecco cosa si decise di fare:
Prima di tutto andava giustificata la sua estensione: il suo schermo al plasma a piena forza in viaggio, avrebbe ampliato notevolmente le sue dimensioni raggiungendo il diametro di circa quello di metà della Terra, tale risultato sarebbe derivato dall’effetto rotatorio della cintura girevole di centinaia di cannoni al plasma posta tra la struttura arida e la base della città, ciò le avrebbe permesso anche di rimuovere qualsiasi ostacolo presente tra la fortezza e lo spazio esterno.
Fu un lavoro indubbiamente duro ma che ottenne i risultati che tutti si aspettavano.
Un altro punto focale per l’innovazione del film prima, e della serie dopo, fu lo spinoso problema del design da imprimere alla nuova flotta di cui la Terra sarebbe andata fiera. In primis alla sua ammiraglia: 





l'Andromeda.  



                                                                                                                                         


La nuova nave fu pensata come l’evoluzione della Yamato, tuttavia era necessario donarle un aspetto interamente nuovo, moderno e più aggressivo, questo in definitiva era il punto di partenza su cui impostare anche l’aspetto e il design della nuova flotta terrestre,  crearono quindi la nave con questo tipo di cognizione. Miyatake realizzò il disegno di base e lo stile complessivo, inventò le due bocche da fuoco anteriori dei cannoni a onde moventi. Basandosi sulla sua idea, Matsumoto modificò poi il ponte aggiungendo il suo tocco personale.
Questo fu il processo di base per tutto il lavoro per la realizzazione del resto della flotta. L’apporto di Katsumi Itabashi fu indispensabile quanto quello di Miyatake, lui e Matsumoto erano amici già da tempo poiché avevano condiviso per anni uno studio di manga.
Itabashi rimodellò la sezione di poppa di alcune navi da guerra della flotta dando vita anche ad un nuovo modello di astro caccia, quello che negli episodi Wildstar chiama gli “astro siluranti”.
Si dimostrò particolarmente abile nel migliorare i disegni grezzi di Matsumoto conferendo loro una corretta impostazione di forma e dimensione, il risultato definitivo fu che le astronavi e le armi nella Serie 2 avrebbero avuto un aspetto molto affilato e dinamico.






Noboru Ishiguro Regista della Serie 2





Come nella serie del 1974, anche questa volta la presenza e l’impegno di Noboru Ishiguro per la realizzazione della Serie 2 fu indispensabile. Anche qui proprio come per la prima serie, divenne il regista dell’animazione collaborando a stretto contatto con Leiji Matsumoto che allora diventò il supervisore. Occupato nel frattempo nella realizzazione di Galaxy Express 999 per la Toei, che all’epoca si era interessata a lui e ai suoi progetti, Matsumoto dovette affidare parte delle sue responsabilità allo stesso Ishiguro che in alcuni casi divenne quindi una sorta di supervisore al suo posto.
Già presente nello staff di “Arrivederci Yamato” come direttore tecnico, il suo coinvolgimento nella Serie 2 fu una conseguenza naturale.
Per “Arrivederci Yamato”, aveva lavorato fino ad una settimana prima della sua uscita nelle sale e senza alcuna pausa (lui non sapeva nemmeno che c’era in programma un nuovo lavoro) fu dislocato verso la produzione della Serie 2.
Questo fu un periodo abbastanza difficile per lui.
Quando cominciarono la realizzazione della nuova produzione, l’Academy Studio era già situata nel condominio di quattro piani a Nerima, ma poiché la distanza tra Nerima e la sua casa a Ikebukuro era parecchia, raramente ebbe occasione di tornarsene a casa.
Non c'era posto per dormire nello studio, così non gli rimase altra scelta che organizzare delle sedie come sostituto di un letto, disperato, colse poi l’occasione di intrufolarsi furtivamente nell'ufficio di Nishizaki al quarto piano e dormire sul divano.
Naturalmente non durò a lungo, quindi decise di affittare una stanza vicino allo studio.
L'unico sollievo per lui fu la produzione del primo episodio perché poté riutilizzare molte delle sequenze del film, anche se fu la successiva sceneggiatura a rallentare maggiormente il normale svolgersi della serie. Normalmente la suddivisione in scene di un episodio televisivo era di 75 pagine, ciò voleva dire 260 scene. Piccoli numeri per gli standard moderni.
Il ritmo di animazione ora è molto più veloce, oltre 300 scene per puntata, ma oggi vi sono anche altri mezzi per realizzarle.
Nel 1978 le cose erano molto diverse, soprattutto perché si volle mantenere un ritmo più lento di narrazione, questo significava più disegni e rendere inevitabilmente il più lento ritmo di produzione, obbligando lo staff ad un lavoro estenuante, oltre ad un uso non indifferente di rodovetri.
Un normale episodio di anime in TV allora utilizzava sotto i 4.000 fogli per un episodio di 30 minuti, ma con Yamato fu di circa 6.000 se non si tiene conto dell’episodio della battaglia di Saturno per il quale furono superati i 7.000 rodovetri, e se a ciò si aggiunge la difficoltà di avere nello staff solo la metà del numero di animatori rispetto alla Serie 1, le scadenze di consegna ravvicinate, la rinuncia anche ai giorni di riposo, ecco che l’esasperazione diventa palese.
Nishizaki era molto pignolo e perse molto tempo sulla sceneggiatura che non approvava finché non era soddisfatto. Questo contribuì a migliorare la Serie 2, ma le incessanti riunioni e i lunghi tempi di attsa per la concretizzazione della sceneggiatura si ripercosse inevitabilmente sui tempi di produzione, questo fattore ebbe l'effetto di caricare oltremisura il lavoro sulle spalle degli animatori. Tuttavia modificare la sceneggiatura di Arrivederci Yamato per realizzare la Serie 2 fu un passo fondamentale e questo comportò un sacco di cambiamenti. Come nella Serie 1, Eiichi Yamamoto partecipò come consulente della storia e molte delle modifiche apportate furono le sue.
In questo clima, Ishiguro non ebbe tempo per tentare la strada della sperimentazione come voleva fare già dalla prima serie, tuttavia riuscì nel suo intento di rivedere e dare una logica alle teorie fantascientifiche un po’ troppo licenziose applicate nella Serie 1.
Per quanto riguarda l’angoscioso problema della realtà delle battaglie nello spazio, Ishiguro fece del suo meglio per rivederle tutte, finalmente si capì il senso di assenza di gravità nello spazio e l’effetto delle esplosioni, che per via proprio della mancanza della forza di attrazione non potevano cadere verso il basso nello spazio. Sperimentò un nuovo stile cercando anche dipingere con le dita per richiamare un tocco finale e impresse definitivamente su suggerimento di Matsumoto un design del tutto innovativo alla piega spaziale.
Ancora oggi Yamato resta per Ishiguro un punto fondamentale nella sua carriera, questo perché Yamato fu la serie che lo spinse a credere nuovamente che sarebbe stato possibile realizzare qualcosa di realistico e affidabile di SF.







 
                    


2 commenti:

  1. Ah, però! Anche un interessante consiglio letterario! ^^
    Sta seconda serie avevo cominciato a vederla, ma il fatto del tutti contro tutti della Yamato della serie loro sono i migliori e sono del giusto mi aveva fatto alquanti irritare. Meno male che c' era il comandante dell' Andromeda a salvare la baracca. Magari me la rivedo. Boh!

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  2. Francesco la seconda serie è la più bella. Guardatela non te ne pentirai. E in giappone è uscito il remake Yamato 2202 che promette faville.

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